di Livio De Chicchis
Lo schema dei certificati bianchi, nonostante la fase critica che sta attraversando, rappresenta tuttora il principale schema di incentivazione dell’efficienza energetica nel nostro Paese. Dal suo avvio nel 2005 fino a dicembre 2017 ha consentito di raggiungere un risparmio cumulato pari a quasi 26 milioni di tep, cui corrispondono 47,5 milioni di titoli di efficienza energetica.
L’ing. De Chicchis riassume le tappe del meccanismo, definendo le principali prospettive future in un articolo pubblicato su Qualenergia.it
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Lo schema dei certificati bianchi, nonostante la fase critica che sta attraversando, rappresenta tuttora il principale schema di incentivazione dell’efficienza energetica nel nostro Paese. Dal suo avvio nel 2005 fino a dicembre 2017 ha consentito di raggiungere un risparmio cumulato pari a quasi 26 milioni di tep, cui corrispondono 47,5 milioni di titoli di efficienza energetica. All’interno di questi numeri, i titoli riconosciuti alle RVC a consuntivo rappresentano da sempre una quota parte importante dello schema. I progetti standard hanno visto un andamento crescente negli ultimi due anni, arrivando a coprire quasi il 50% dei TEE emessi, mentre le RVC analitiche hanno sempre avuto un ruolo marginale.
La scissione tra i valori in Mtep e MTEE è dovuta all’introduzione nel 2011 del coefficiente di durabilità, il cosiddetto tau, coefficiente moltiplicativo che andava a incrementare il numero di TEE riconosciuti nell’arco della vita utile dell’intervento. Questo scostamento tra TEE e tep si è riflesso anche nella definizione degli obiettivi di risparmio. Gli obiettivi espressi in Mtep sono quelli fondamentali per verificare il successo dello schema e la capacità di raggiungere i target vincolanti fissati dall’art. 7 della direttiva 2012/27/UE (EED). La possibilità data ai distributori di conseguire ogni anno d’obbligo almeno il 60% del target assegnatogli ha senz’altro dato loro respiro in questo senso, ma porta in eredità un quantitativo di TEE residui da colmare negli anni (o nell’anno) successivi. Ad oggi, le emissioni di certificati previste fino a maggio dovrebbero consentire di ottemperare l’obbligo fissato per il 2017, ma restano aperto il problema dei residui legati al mancato raggiungimento dell’obbligo degli anni precedenti, che ammontano complessivamente a circa 5,7 milioni di tep, da compensare nei prossimi anni (3,9 milioni di tep sull’obiettivo 2018).
Il rapporto annuale relativo al 2017 prodotto dal GSE ha illustrato i principali risultati ottenuti dal meccanismo. Il valore annuale dei titoli riconosciuti nell’anno ammonta a 5,8 milioni di TEE, dei quali 3,5 MTEE relativi a progetti a consuntivo. Per quanto riguarda i PC introdotti con le disposizioni del D.M. 11 gennaio 2017, nel corso del 2017 ne sono stati presentati 177, cui se ne aggiungono 13 nei primi tre mesi del 2018.
Complessivamente, in termini di richieste presentate nel 2017 si è rilevato un decremento pari a circa il 54% rispetto all’anno precedente.
Questo trend è proseguito nei primi tre mesi del 2018, dove i progetti approvati da parte del GSE ed il conseguente numero di titoli rilasciati si sono dimezzati rispetto all’analogo periodo dello scorso anno: nel dettaglio, tra gennaio e marzo 2018 sono state concluse 689 istruttorie, la gran parte delle quali RVC, per le quali sono state riconosciuti complessivamente poco più di un milione di TEE.
Questa continua riduzione dei progetti approvati è un termometro della fase di crisi che sta attraversando il meccanismo. Se da un lato è comprensibile il numero esiguo di Progetti a Consuntivo (PC) presentati, dovuto ai requisiti stringenti introdotti dalle nuove linee guida (addizionalità, cumulabilità, titolare unico per progetto), dall’altro il dimezzamento dei rilasci di TEE mediante RVC è sintomo di un processo di verifica più serrato da parte del GSE, conseguenza inevitabile delle recenti truffe perpetrate nell’ambito dello schema. A conferma di ciò, il tasso di rigetto delle proposte di progetto (PPPM, PC, PS) e delle richieste di rendicontazione dei risparmi (RVC e RC) risulta elevato, nell’ordine del 30-40% nel primo caso, e in crescita negli ultimi tre anni dal 7% al 28% nel secondo.
Questa carenza di titoli sul mercato, unita ai target di risparmio in capo ai distributori obbligati, ha comportato una forte spinta rialzista dei prezzi dei TEE sul mercato spot del GME. Dai circa 100 €/TEE, su cui oramai gli operatori avevano basato i propri business plan, nell’arco di un anno e mezzo si è arrivati ai quasi 480 €/TEE toccati nell’ultima sessione di febbraio 2018, attualmente il massimo storico. Per porre un freno a questo rialzo, il primo provvedimento adottato dal MISE è stato quello di ridurre le sessioni di scambio da una cadenza settimanale ad una mensile. A questa misura “tampone” farà seguito nelle intenzioni del legislatore una riforma più strutturale del meccanismo, che prenderà forma grazie ad un decreto correttivo al D.M. 11 gennaio 2017, in discussione in questi giorni. Tale decreto correttivo mirerà a riequilibrare domanda e offerta, in particolare incrementando l’offerta di titoli e riducendo i prezzi di mercato al momento non sostenibili in termini di costi di sistema.
Gli operatori sembrano aver colto questi segnali, tanto che nella successiva sessione di marzo il prezzo medio di scambio nel mercato spot è sceso 350 €/TEE. In tal senso si attendono conferme nella prossima sessione del 17 aprile, ma soprattutto ci si attende che questi segnali vengano concretizzati con l’emanazione in tempi ragionevoli del suddetto decreto correttivo. Di certo in questo momento il tempo non gioca a favore del legislatore, con i distributori che entro il prossimo 31 maggio devono raggiungere il loro obbligo minimo e l’offerta che attende chiarezza prima di tornare ad investire nello schema.