di Dario Di Santo
Il decreto rilancio porta al 110% le detrazioni per ecobonus e sismabonus, riducendo a cinque anni il tempo di recupero della detrazione e ampliando la cessione del credito agli istituti di credito e agli intermediari finanziari (con sconto in fattura al 100% per gli utenti finali residenziali). Il provvedimento sta ovviamente scatenando l’attenzione e gli appetiti di tutti, ma cosa dire della sostenibilità economica e di mercato? Ce ne parla Dario Di Santo nella newsletter FIRE.
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La Commissione europea ha presentato una proposta forte per il rilancio e l’uscita dalla crisi – COM(2020) 456 final – con un collegamento deciso con la transizione energetica e la decarbonizzazione. Numerosi gli strumenti pensati per supportare imprese ed enti verso la trasformazione all’interno di un piano di ripresa europeo da oltre 1.800 miliardi, di cui la larga parte da spendere nei prossimi due anni. A tal fine la Commissione propone un nuovo fondo da 750 miliardi di euro, chiamato Next generation EU, da destinare per due terzi a finanziamenti e per un terzo a prestiti. Tre i pilastri: supportare gli Stati membri nell’investire e riformare i propri sistemi per uscire dalla crisi, facilitare gli investimenti privati e creare un nuovo programma per la salute a livello europeo. Vedremo come i Governi attraverso il Consiglio europeo e il Parlamento europeo modificheranno la proposta, ma il punto di partenza è interessante e incoraggiante e mostra visione.
In Italia, nel frattempo, sono diverse le misure che cercano di coniugare l’uscita dalla crisi con la sostenibilità. Il MiSE ha avviato Transizione 4.0, il programma che introduce i nuovi crediti di imposta per le imprese per stimolare investimenti in ricerca e sviluppo, innovazione tecnologica e verde (ad esempio è previsto il credito di imposta al 10% per investimenti in transizione ecologica e innovazione digitale).
Ma è il D.L. 19 maggio 2020 n. 34 (c.d. decreto rilancio) a introdurre la novità più corposa nel nostro Paese, sempreché gli articoli 119 e 121 vengano confermati in fase di conversione in legge. Fra le numerose misure pensate per fare fronte alla crisi, esso porta infatti al 110% le detrazioni per ecobonus e si- smabonus, riducendo a cinque anni il tempo di recupero della detrazione e ampliando la cessione del credito agli istituti di credito e agli intermediari finanziari (con sconto in fattura al 100% per gli utenti finali residenziali). La cessione del credito con sconto in fattura si applicherebbe anche ad altri interven- ti con le percentuali di detrazioni previste in precedenza.
Le soluzioni cui si applicherebbe il 110% sono la coibentazione delle superfici opache degli edifici, purché si intervenga su più del 25% della superficie lorda disperdente, la riqualificazione delle centrali termiche condominiali con caldaie a condensazione o pompe di calore (anche abbi- nate a sistemi fotovoltaici con o senza accumu- lo), la riqualificazione di quelle unifamiliari con pompe di calore e microcogeneratori, l’instal- lazione di impianti fotovoltaici con o senza ac- cumulo (con cessione obbligata gratuita al GSE dell’energia non autoconsumata), la realizzazio- ne di colonnine per la ricarica di veicoli elettrici e la riqualificazione sismica degli edifici. Gli altri interventi oggetto di ecobonus sarebbero co- munque ammessi al 110% di detrazione, purché sia realizzato uno dei primi tre interventi citati. Possibili beneficiari dovrebbero essere famiglie (purché, nel caso di edifici unifamiliari, si tratti di prima casa), condomini, istituti di case popolari e cooperative di abitazione a proprietà indivisa. Questo provvedimento sta ovviamente scate- nando l’attenzione e gli appetiti di tutti, visto che promette ai potenziali beneficiari la riquali- ficazione energetica e sismica dei propri edifici senza mettere un euro sul piatto della bilancia. Si collegano inoltre la sostenibilità energetica e ambientale alla ripresa e si tiene conto della pri- orità di intervento sugli edifici indicata nel Piano nazionale integrato energia e clima (PNIEC), ele- menti senza dubbio positivi.
Ma cosa dire della sostenibilità economica e di mercato? La storia avrebbe molto da insegnare a tale proposito, ma pochi hanno voglia di imparare, apparentemente.
È facile prevedere una forte pressione sul mercato dell’offerta, lontanissimo dai numeri che tale incentivo creerà per la domanda, con conseguenti aumenti dei prezzi dei componenti e dei lavori e diminuzione della qualità degli interventi. D’altronde pensare di risolvere questo problema con i controlli appare quantomeno improbabile: al massimo si riusciranno a ridurre le truffe, ma è probabile anche un aumento del contenzioso legale. Il risultato sarà probabil- mente quello di dare priorità agli edifici su cui si può intervenire in modo meno costoso, e dove dunque l’aumento dei prezzi consentirà comunque di rimanere sotto i massimali previsti dalla legge (i.e. massima spesa per minimo risultato). È anche prevedibile che molti cittadini rimarranno fuori dalla misura, perché l’offerta non sarà in grado di accontentarli, vista anche la durata limitata nel tempo in considerazione degli effetti negativi sui conti dello Stato.
Questo nell’ipotesi che la cessione del credito funzioni, ossia che le imprese che anticipano le risorse per offrire lo sconto in fattura ottengano subito i soldi collegati (dalle banche o dagli altri soggetti interessati ad acquisire il credito). Altrimenti non si riuscirà ad attivare l’effetto di crescita del mercato e degli operatori che la misura si propone di conseguire e la misura sarà un flop (con l’unico vantaggio di non incedere sui conti pubblici in maniera consistente).
In generale, qualunque misura si proponga per fare crescere un mercato, dovrebbe basarsi su una stima della capacità dell’offerta di adattarsi all’aumento della domanda ed evitare la sovraremunerazione degli investimenti. Qui non si rispettano entrambi i requisiti. A mio avviso una detrazione maggiorata all’70-90%, con meccanismo funzionante di cessione del credito e sconto in fattura, consentirebbe di ottenere una crescita del mercato più sana. I beneficiari sarebbero infatti attenti all’aumento dei prezzi, dovendo mettere sul piatto una parte seppur minima della spesa da sostenere. La domanda inoltre aumenterebbe, ma in percentuali più gestibili. Alternativamente si potrebbe spingere di più per realizzare solo interventi che coniughino la riqualificazione sismica con quella energetica profonda, visto l’alto rischio in cui versa la maggior parte del Paese, miglioramento che giustificherebbe di più risorse così cospicue.
Tra l’altro, perché indicare gli interventi ammissibili con tutte le complicazioni relative e le potenziali esclusioni, quando basterebbe richiedere il raggiungimento di una classe energetica minima (e.g. la B, visto che due classi di migliora- mento se si parte da G o F sembra davvero poco con sì tante risorse messe a disposizione) con contestuale messa in sicurezza sismica, salvo eccezioni nei casi in cui ciò non sia possibile causa vincoli architettonici o problematiche particolari?
In questo modo le imprese di settore, dai produttori di materiali e componenti alle aziende attive nella riqualificazione, potrebbero seguire un percorso di crescita e consolidamento meno rapido, ma di lungo periodo e dunque strutturale. Ciò potrebbe inoltre attivare economie di scala da sfruttare per successive fasi di incentivazione a spettro più ampio. Lo Stato si troverebbe infine con un risultato maggiore a parità di risorse investite.
Si dovrebbe riflettere sul fatto che i soldi a pioggia non servono perché insufficienti e quelli dati in eccesso fanno solo danni, come dimostrano diversi esempi negli ultimi decenni. Non è un caso se tutti concordano che al Paese servano regole semplici (ossia il contrario di introdurre una misura eccessivamente remunerativa cercando poi di tamponare i rischi con adempimenti inutilmente complicati e responsabilità eccessive per i professionisti e le imprese), una giustizia funzionante (che presuppone regole semplici e chiare, altrimenti per quanto si possa rafforzare l’organico ci troveremo comunque a gestire contenziosi infiniti e in perdita per tutti come quello sui certificati bianchi al TAR) e la lotta all’evasione fiscale (molto apprezzabile l’articolo di Milena Gabbanelli sul Corriere della Sera dell’1 giugno). Se non riusciamo a mettere le mani su questi fondamentali nel corso di una crisi pesan- te, quando dovremmo farlo? E se non lo facciamo, davvero crediamo di poter uscire dalla crisi? Si è visto come lo abbiamo fatto da quella precedente…
Dopo avere promesso tanto è certamente difficile tornare indietro (anzi, si parla di estendere la misura del 110% alle seconde case…), ma la speranza è l’ultima a morire e confido che si possa mettere mano al decreto legge migliorando quanto inizialmente previsto, a beneficio di tutti.