di Dario Di Santo
Le decisioni in materia di energia e ambiente non sono semplici e andrebbero prese insieme, in un’ottica collaborativa e costruttiva. Prendiamo il tema delle alluvioni recenti. Valanghe di post, chi a sostenere che la colpa è del cambiamento climatico, chi che è dell’uso sconsiderato del territorio. Entrambe le considerazioni sono vere: il cambiamento climatico sta incrementando gli eventi avversi, i cui danni dipendono dallo stato del territorio su cui il disastro si realizza. Invece di perdere tempo a litigare, sarebbe utile attivarsi contemporaneamente sui due fronti.
Nell’articolo di apertertura della newsletter FIRE di metà giugno l’ing. Dario Di Santo condivide qualche considerazione sul PNIEC che a breve sarà emanato e definirà le politiche del prossimo decennio.
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Il Piano nazionale integrato energia e clima si avvia ad essere licenziato. È un documento programmatico richiesto dall’Europa ai Paesi membri sia per potere valutare meglio la fattibilità degli obiettivi in materia di clima ed energia e l’adeguatezza dell’acquis communautaire in tal senso, sia per aiutare gli stessi compilatori a definire un piano di azione efficace per raggiungere, attraverso leggi e strumenti nazionali, i traguardi di riduzione delle emissioni di gas serra impostati. In un certo senso si tratta di un tentativo di portare il sistema legislativo e regolatorio a un approccio di miglioramento continuo propria dei sistemi di gestione. Di seguito voglio condividere qualche considerazione sul PNIEC che vorrei, anche se so che quello che uscirà sarà diverso (per carità, forse meglio così).
Come dimostrano i continui scontri verbali e da tastiera sui temi della transizione energetica – dalle case verdi ai motori endotermici, dalla tassonomia alle caldaie a gas, fino alla causa delle inondazioni in Emilia-Romagna – è evidente che le decisioni in materia di energia e ambiente non sono semplici e andrebbero prese insieme, in un’ottica collaborativa e costruttiva. Prendiamo il tema delle alluvioni recenti. Valanghe di post, chi a sostenere che la colpa è del cambiamento climatico, chi che è dell’uso sconsiderato del territorio. A me sembra evidente che siano entrambe vere: il cambiamento climatico sta incrementando gli eventi avversi, i cui danni dipendono dallo stato del territorio su cui il disastro si realizza. Invece di perdere tempo a litigare, sarebbe dunque utile attivarsi contemporaneamente sui due fronti – come peraltro indicato nel sesto rapporto e previsto nel PNRR, anche se con risorse esigue – – sia con interventi territoriali e locali di mitigazione del rischio e del danno, sia riducendo le emissioni di gas serra per contenere nel futuro l’accelerazione di questa tendenza devastante.
Il primo desiderio è quindi comprendere che cooperando miglioreremo la situazione a vantaggio di tutti, mentre insultandoci sui social i migliori tastieristi faranno incetta di like, ma non avranno costruito nulla di cui andare fieri. Ovviamente collaborare per costruire è faticoso, richiede ascolto attivo e disponibilità a mediare e a cercare un vantaggio comune. Ma è il bello della negoziazione: alla fine ci guadagnano entrambe le parti.
Gli obiettivi per la decarbonizzazione sono peraltro molto sfidanti, a essere ottimisti. Lo sforzo richiesto, che non è di pura ottimizzazione, ma anzitutto di cambiamento (della proposta di valore di prodotti e servizi, dei modelli produttivi, degli stili di vita, etc.), richiede un forte aumento della penetrazione di una serie di soluzioni e tecnologie. Per conseguirlo, la priorità non è destinare incentivi alla domanda, per quanto importanti, ma iniziare dall’offerta. Se non avremo le tecnologie necessarie, la logistica per distribuirle, i componenti per installarle e manutenerle, le infrastrutture per supportarle (reti, collegamenti, etc.) e le persone per garantire tutto questo, non solo non andremo lontano, ma pagheremo tanto per ottenere poco. Lo scopo è attivare delle traiettorie di penetrazione crescenti ed evitare assolutamente di introdurre incentivi che creino una domanda non compatibile con l’offerta. È fondamentale che il Governo garantisca questo con gli opportuni accordi internazionali, oltreché, mediante idonei schemi di supporto, con la spinta alla creazione e crescita delle imprese di settore nazionali. Senza dimenticare politiche sul lavoro che ci consentano di colmare il gap reddituale con gli altri Paesi europei, pena una costante fuga di giovani talenti. E questo è il secondo desiderio.
Gli investimenti richiesti, poi, sono consistenti, ma, se ben individuati, convenienti, ossia in grado di generare profitti (non solo economici diretti). Due sono le priorità su cui potrebbe concentrarsi il PNIEC: promuovere politiche di supporto che garantiscano un elevato rapporto efficacia/costo e introdurre strumenti finanziari in grado di facilitare gli investimenti attraverso finanziamento tramite terzi.
Su questo secondo punto spero si intervenga sul Fondo nazionale per l’efficienza energetica rilanciandolo e trasformandolo in uno strumento efficiente di accesso al credito per famiglie, enti ed ESCo. La disponibilità di incentivi come le detrazioni fiscali, il conto termico o i contributi all’acquisto delle auto, tanto per fare degli esempi, richiedono comunque che chi decide di intervenire abbia a disposizione l’intero capitale da investire. È perciò importante che trovi percorsi facilitati e convenienti per l’accensione di finanziamenti e mutui. Suggerisco inoltre, vista la mole dei soldi depositati sui conti correnti di famiglie e imprese (nel 2021 erano 1.500 miliardi di euro), di emettere obbligazioni pubbliche per finanziare o il fondo citato, o fondi alternativi nel corso degli anni. Tra l’altro, mediando fra conto interessi e fondo di garanzia si può fare in modo di recuperare nel tempo una parte delle somme messe a disposizione. Un desiderio rotativo, insomma.
Un altro desiderio riguarda avere politiche efficaci. A questo proposito ritengo che le parole chiave siano: integrate, effettive, equilibrate, gestite. Integrate perché, soprattutto per edifici e trasporti, dove intervenire è costoso, è importante che si colgano tutti i benefici disponibili. Per un immobile, ad esempio, la riqualificazione energetica dovrebbe accompagnarsi a quella sismica, al comfort termico e acustico, alla salubrità e alla sicurezza. Per i trasporti ragionare sull’intermodalità, gli aspetti sociali, l’impatto sull’occupazione di suolo, e il rapporto casa-lavoro e casa-vita-non-lavorativa. Effettive perché devono premiare di più gli interventi che producono maggiori benefici, sia in termini di riduzione delle emissioni, sia di altri benefici non energetici. Ovvio che questo comporta che occorra misurare i risultati raggiunti, non solo per valutare la portata reale delle azioni intraprese, ma anche per ottenere informazioni importanti su come migliorare gli interventi incentivati, specie nel caso di soluzioni innovative come le riqualificazioni profonde o nuovi processi produttivi. Equilibrate perché devono mirare a un risultato di medio-lungo periodo ed essere dunque sostenibili economicamente e realizzabili nella pratica in termini di incontro fra domanda e offerta, prevedendo una crescita progressiva di entrambe. Infine gestite, perché non esistono politiche perfette, ma politiche migliorabili. Il superbonus ha molti difetti? Si può rivedere insieme al pacchetto detrazioni in modo da renderlo efficace e produttivo. Soprattutto si può fare in modo che sia una politica fondata sul miglioramento complessivo degli edifici, non solo sullo stimolo alla filiera delle costruzioni.
Ci sarebbe un ultimo desiderio. Già per il fatto che abbiamo superato i canonici tre avrete capito che non ho trovato la lampada di Aladino e che dunque molto di quanto scritto non si avvererà. Certo avremmo bisogno di una governance adeguata, che oggi non esiste, come dimostrano non solo i ritardi sul PNRR – misura straordinaria e di grandi dimensioni che richiederebbe una struttura efficace di gestione a tutti i livelli – ma anche quelli sulle numerose politiche ordinarie attese da tempo (certificati bianchi e aste, conto termico, fondo nazionale efficienza energetica, decreti FER, etc.). Servono senza dubbio più risorse di personale, ma soprattutto una vera semplificazione. Oggi l’immenso e incomprensibile corpo legislativo nazionale produce distorsioni, vanifica e umilia – attraverso controlli corposi e spesso inutili – gli sforzi dei singoli di provare a fare qualcosa di produttivo e finisce per rafforzare il malaffare, che trae linfa dall’eccesso di regole e vincoli formali. Come in un’impresa, in cui i dipendenti danno il meglio se lasciati liberi di esprimersi e delegati con fiducia, così operatori, imprese, famiglie, funzionari e dirigenti pubblici sarebbero molto più produttivi se non dovessero passare il tempo a combattere contro i mulini a vento della burocrazia negativa e a difendersi da controlli pensati per punire, non per migliorare. Ma questo, come la lotta all’evasione, più che un desiderio temo sia un sogno. Chissà, forse mi risveglierò su una bellissima spiaggia assegnata a un nuovo concessionario.