Più spazio agli energy manager

di Dario Di Santo

Fa piacere vedere tanto fermento intorno al tema dell’uso razionale dell’energia, fra proposte di green new deal, finalizzazione del Piano integrato per l’energia e il clima, preparazione al recepimento delle direttive del nuovo Pacchetto UE sulla sostenibilità e movimenti giovanili. Fa piacere, ma mentre lo sguardo si sposta sull’orizzonte 2030 e alcuni Paesi parlano di decarbonizzazione completa al 2040 conviene rimanere con i piedi per terra.

L’articolo di Dario Di Santo apre il focus Obiettivi 2030, strategie e politiche – pubblicato all’interno dell’ultimo  numero di Gestione Energia, la rivista FIRE – ed evidenzia alcuni aspetti importanti legati alla possibilità di raggiungere (o no?) gli obiettivi fissati dall’UE. Una figura necessaria in questo percorso è l’energy manager, perché per intervenire sulla quotidianità e per cambiare il modo di fare impresa servono persone preparate e incaricate di individuare e attuare quelle azioni che servono per migliorare l’uso delle risorse e ridurre l’impatto ambientale

Fa piacere vedere tanto fermento intorno al tema dell’uso razionale dell’energia, fra proposte di green new deal, finalizzazione del Piano integrato per l’energia e il clima, preparazione al recepimento delle direttive del nuovo Pacchetto UE sulla sostenibilità e movimenti giovanili. Fa piacere, ma mentre lo sguardo si sposta sull’orizzonte 2030 e alcuni Paesi parlano di decarbonizzazione completa al 2040 conviene rimanere con i piedi per terra. Intanto è bastata una timida crescita economica negli ultimi anni per far ripartire consumi energetici ed emissioni, con buona pace dei propositi di scollinamento verso la discesa immaginata nel prossimo decennio. Il nostro ciclista immaginario, inoltre, si trova a dover scansare i colpi inferti da USA, in uscita dall’Accordo di Parigi, e Cina, che vanifica parte dei risultati che stava conseguendo mettendo in costruzione nuove centrali a carbone. Il clima da rissa continua che caratterizza il nostro Paese e i rapporti internazionali – certe volte mi sembrano più composte le classi della materna cui ho accompagnato le mie figlie negli scorsi anni – fa poi sì che i nostri politici e dirigenti si perdano nella ricerca di ammirevoli quanto improduttivi slogan, invece di cercare di fare funzionare le politiche che ci sono. E c’è la possibilità che non si raggiungano alcuni degli obiettivi previsti al 2020.

Il tema è serio, perché il rischio è quello di continuare a proporre obiettivi sempre più ambiziosi e distanti, mentre la realtà naviga in tutt’altra direzione. Un po’ quanto successo per i certificati bianchi: obiettivi crescenti e risparmi che si riducono da ormai dieci anni (e ci sono stakeholder che continuano a dire che non si devono ridurre…). D’altra parte, pur di mostrarsi innovativi, si introducono proposte dannifiche. L’esempio più eclatante è quello della lotta al diesel, che ha portato a mettere in ginocchio l’industria europea senza che ci fosse alcuna alternativa valida. La cosa grave non è che si è fatto un favore ai produttori cinesi di bus elettrici e batterie (tutto prodotto in contesti molto meno attenti ai nostri valori). La cosa grave è che non si capisca che per investire in sostenibilità senza buttare alle ortiche tutto quello che di buono si è fatto negli ultimi decenni (contrasto alla fame del mondo e alle malattie, miglioramento continuo della qualità dell’aria nelle nostre città, disponibilità di cure per tante malattie, possibilità per le persone con handicap di trovare meno ostacoli a una vita più piena, possibilità di vivere in ambienti riscaldati e raffrescati, etc.) bisogna essere benestanti. Senza risorse non si va avanti, si torna indietro e si inquina di più. Quindi le soluzioni vanno trovate in un’ottica di sostenibilità economica.

Le imprese evolute hanno capito che occorre un cambiamento, non solo nei confronti della sostenibilità ambientale, ma anche del modo di generare ricchezza. Le banche e i fondi hanno iniziato a chiudere i rubinetti verso alcuni business vecchi e inquinanti e a premiare quelli sostenibili. I giovani hanno capito che la sostenibilità può essere il tema su cui rilanciare il loro ruolo nella società. Si tratta di agevolare questi percorsi e di capire noi tutti che possiamo rivedere alcuni usi energetici legati a prodotti e servizi di cui non abbiamo davvero bisogno, insieme all’adozione di soluzioni poco impattanti nell’uso quotidiano, si tratti di cibo, case, trasporti o divertimento. Spingiamo le nostre imprese a rinnovarsi, dando loro il tempo di farlo (la plastic tax è un altro tema che meriterebbe maggiore riflessione e che rischia di fare più danni che altro in ottica di sostenibilità).

Quindi, invece di inventarsi chissà cosa, tanto più che le risorse pubbliche sono limitate, conviene focalizzarsi su quello che c’è e farlo funzionare meglio. La transizione la devono fare imprese e famiglie, che sono però sempre più ostacolate da leggi e normative complicate e sovrapposte. Si può fare. La politica lo deve volere. Sarà meno poetico di proporre iniziative condite di fantastici slogan, ma sarebbe efficace nel rendere più produttivo il Paese e generare quella ricchezza che ci serve per finanziare la transizione.

Bene, a questo punto che c’entrano gli energy manager del titolo, vi chiederete? C’entrano, perché per intervenire sulla quotidianità e per cambiare il modo di fare impresa servono persone preparate e incaricate di individuare e attuare quelle azioni che servono per migliorare l’uso delle risorse e ridurre l’impatto ambientale. Ancora oggi l’energy manager è una figura secondaria, talvolta nominata solo per obbligo senza capirne le potenzialità. Spesso inquadrata male e senza reali poteri propositivi e di iniziativa. Laddove sia messo in condizioni di operare al meglio, magari nell’ambito di un sistema di gestione dell’energia, i risultati arrivano. E se il dialogo con le altre funzioni aziendali si rafforza, il beneficio per le imprese e gli enti cresce con i benefici multipli che gli interventi sull’energia possono portare.

Gli esempi presentati durante le conferenze di FIRE e nell’ambito del Premio annuale riconosciuto a dicembre ad alcuni soggetti virtuosi [mettere link a sezione dedicata nel sito FIRE] dicono che la transizione è già iniziata per diversi soggetti. Non saremo alla perfezione teorica, ma è un miglioramento continuo che potrà produrre sempre più frutti. Investiamo nei nostri energy manager!

 

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