Quale strategia energetica per l’Italia

Non si può che essere soddisfatti che sia la nuova Commissione Europea, sia il nuovo Governo nazionale abbiano messo al primo posto la sostenibilità e un nuovo corso verde. L’evoluzione del clima, evidenziata dalle relazioni dell’IPCC, ma ormai anche dai fenomeni che toccano il nostro quotidiano vivere, non può che spingere verso passi decisi in tale direzione. L’impressione però è che il compito sia molto più arduo di quello che appare.

L’articolo di apertura della newsletter FIRE di metà settembre, a firma di Dario Di Santo, delinea considerazioni ed analisi sulle strategie energetiche per l’Italia.

 

 

Non si può che essere soddisfatti che sia la nuova Commissione Europea, sia il nuovo Governo nazionale abbiano messo al primo posto la sostenibilità e un nuovo corso verde. L’evoluzione del clima, evidenziata dalle relazioni dell’IPCC, ma ormai anche dai fenomeni che toccano il nostro quotidiano vivere, non può che spingere verso passi decisi in tale direzione. L’impressione però è che il compito sia molto più arduo di quello che appare.

Due considerazioni di base: gli obiettivi al 2030 sono molto impegnativi, sebbene insufficienti in ottica 2050 (vero che le traiettorie non devono essere lineari, ma occorre esserne consapevoli). Realizzare almeno altri 30 GW di fotovoltaico, ad esempio, quando nell’ultimo decennio ne abbiamo realizzati meno di 20 GW avendo a disposizione ampi incentivi e agevolazioni varie (scambio sul posto, priorità al dispacciamento, esenzione dagli oneri di sistema sull’energia autoconsumata), non sembra così banale, nonostante il levelised cost of energy sia in continuo calo. Servono infatti superfici, investimenti negli impianti (fotovoltaici e termoelettrici, chiamati a garantire la stabilità del sistema) e nelle reti. Tanto più che presumibilmente aumenteranno i costi di sistema (dispacciamento, distribuzione, etc.). In generale, per tutte le rinnovabili, serve un’unità di intenti e visione fra Stato, Regioni ed Enti locali che oggi spesso manca.

Ancora peggio sembra messo l’obiettivo sui consumi finali: basta confrontare l’andamento negli ultimi venti anni in relazione al PIL per capire che appaia quasi impossibile in presenza di una crescita economica, visto che appena si riprende l’economia tornano ad aumentare i consumi. In questo caso sarà difficile arrivare al target anche ammettendo che ci siano le risorse necessarie da investire. Risorse che dovranno essere maggiori di quelle stanziate nell’ultimo decennio, in quanto gli interventi sull’involucro edilizio e sui trasporti costano molto di più per tonnellata equivalente di petrolio risparmiato e i tempi di ritorno più lunghi comporteranno una più significativa immobilizzazione di risorse.

Con queste premesse, pensare di arrivare agli obiettivi con politiche di incentivazione appare del tutto irrealistico e non sostenibile. Ovviamente le politiche di supporto avranno un ruolo importante, sempre che si riescano a fare funzionare (l’esperienza dei certificati bianchi negli ultimi anni induce qualche perplessità, per lo meno sul fronte dell’efficienza energetica), ma è difficile che portino a forti accelerazioni del mercato.

Quindi sarà fondamentale puntare sulla mobilitazione dei capitali privati. E qui, ahimè, l’instabilità politica e amministrativa del Paese non fa ben sperare. Del resto, come si può pretendere di lanciare ingenti investimenti, molti di lungo periodo, su edifici, mezzi, impianti e reti, se ogni strategia energetica cambia una parte importante del mix di interventi (ad esempio il ruolo di gas naturale e risorse petrolifere)? Come sfruttare in modo efficace gli incentivi, se c’è un rischio non trascurabile di vedersi bocciare le domande o interrompere gli incentivi, spesso per regole poco chiare o cambiate in corsa? Il finanziamento tramite terzi non necessita di incentivi, ma di regole chiare (autorizzazioni, politiche, norme tecniche) e di una giustizia celere sì. Una governance efficace dovrebbe essere la priorità di qualunque Governo (il resto verrebbe quasi da sé).

Per attuare in tempi brevi un cambiamento così rilevante, occorre soprattutto un deciso cambiamento attitudinale e comportamentale, basato sulla comprensione della posta in gioco. Solo così si potranno attivare quelle trasformazioni che consentiranno di raggiungere gli obiettivi nonostante le difficoltà sopra ricordate (nel settore trasporti, cambiare il modo di spostarsi e ridurne la necessità, ad esempio con il telelavoro e lo smart working, serve molto di più che limitarsi a sostituire auto tradizionali con auto elettriche). E serve una costruttiva collaborazione fra Paesi e anche fra enti all’interno di uno stesso Paese, superando questa assurda corsa all’individualismo cieco che sta accompagnando questa fase storica.

Investire in una governance efficiente e collaborativa e nella trasformazione verde, con la giusta dose di pragmatismo, perché tanti saranno i problemi concreti da affrontare in modo non ideologico ma costruttivo (e.g. ruolo del termoelettrico e dei combustibili fossili),  può aiutare a rilanciare le economie e a migliorare le nostre condizioni di vita, in quanto può agire sulle reali problematiche che hanno portato Paesi come il nostro a ristagnare. Il mio auspicio è che questi siano i propositi di chi ha preso in mano le redini dell’Europa e dell’Italia.

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