di Stefano D’Ambrosio e Dario Di Santo
La flessibilità sarà sempre più un tema chiave per la riduzione dei costi: conviene sfruttare il secondo ciclo di diagnosi obbligatorie per valutare la flessibilità dell’azienda in merito alla gestione dei carichi. Un’indagine della FIRE ne analizza i vari aspetti in in un articolo pubblicato su Staffetta Quotidiana.
Il demand-response è una modulazione della domanda di energia, in aumento o riduzione, al variare del prezzo della commodity. Non è un concetto nuovo, visto che affonda le sue radici nel demand side management di cui si parla da decenni. Una forma base è quella collegata alle tariffe multiorarie, in cui i prezzi differiscono a seconda della fascia (F1, F2, F3) e del giorno (festivo o feriale) di prelievo, introdotte per stimolare gli utenti a spostare i prelievi nelle ore di minore carico e, dunque, minore congestione per la rete e il parco di generazione. Un’altra forma di demand-response può essere vista nei contratti di interrompibilità (per il triennio 2018-2020 la potenza impegnata è di circa 4 GW) per i quali un consumatore, tipicamente un grande utente industriale, volontariamente sceglie e si impegna ad una riduzione dei prelievi da rete o al distacco senza preavviso in cambio di un corrispettivo economico piuttosto cospicuo.
Come detto, nel senso stretto del termine il demand-response associa la variazione dei consumi dell’utente, e dunque la sua flessibilità, al prezzo di mercato dell’energia elettrica. Ciò si lega negli ultimi anni alla diffusione di sistemi di generazione distribuiti (si pensi alla diffusione degli impianti fotovoltaici e della cogenerazione), per cui l’utente finale diviene produttore di energia e consumatore allo stesso tempo, il cosiddetto“prosumer”. Nel prossimo futuro si diffonderanno i sistemi di accumulo e le auto elettriche, che aprono nuove frontiere per la possibilità di modulare e gestire domanda e offerta di energia e utilizzo delle reti.
Il forte incremento delle fonti rinnovabili non programmabili (in particolare fotovoltaico ed eolico) nel mix di generazione nazionale crea la necessità di un sistema elettrico flessibile, basato su stoccaggio diffuso e di rete, carichi modulabili e/o interrompibili, sistemi di generazione distribuiti pensati per sfruttare al massimo le opportunità di autoconsumo.
D’altra parte, l’ulteriore espansione delle fonti rinnovabili in un contesto più di mercato e non più basato su incentivi consistenti richiede lo sviluppo di nuove forme contrattuali, quali i Power Purchase Agreement (PPA), contratti di medio periodo capaci di garantire un livello di remunerazione adeguato a chi realizzerà impianti difficilmente gestibili in un’ottica di borsa dell’energia. Ciò vede nella figura degli aggregatori un soggetto fondamentale, al fine di coniugare le opzioni di flessibilità con un adeguato know-how e una soglia dimensionale adeguata.
La flessibilità sarà un tema chiave, in quanto consente di utilizzare al meglio le risorse disponibili, riducendo i picchi di potenza e di conseguenza i costi di generazione, evitando di investire risorse per il potenziamento delle reti e degli impianti, portando ad una riduzione del costo finale dell’energia stimata intorno al 10%. Un piccolo utente, sia esso residenziale, terziario o industriale, ha spesso difficoltà ad implementare azioni di demand-response, per mancanza di mezzi tecnici, gestionali e, soprattutto, di conoscenza delle opportunità, da cui l’importanza dell’aggregatore che agisca da intermediario tra svariati utenti finali e Terna. Nel mondo si segnalano esempi interessanti di PPA realizzati da Apple, Google, Coca-Cola, etc., grandi colossi che hanno stipulato accordi per l’acquisto di energia verde per i prossimi 15-20 anni ad un prezzo di ritiro predefinito, anche coinvolgendo utenti residenziali e del terziario.
In futuro, con l’apertura del mercato del servizio di dispacciamento l’utente finale, direttamente o indirettamente tramite il soggetto aggregatore (o altre forme consortili), ora per ora, in base al prezzo dell’energia sul mercato, potrà scegliere alternativamente se prelevare o vendere, stoccare o consumare energia. In attesa del completamento della definizione del quadro regolatorio, è importante preparare le imprese e i consumatori a questa rivoluzione.
Sono richiesti programmi informativi adeguati e, per quanto riguarda le imprese, conviene sfruttare il secondo ciclo di diagnosi obbligatorie previste dall’art.8 del D.Lgs. 102/2014. La valutazione della flessibilità dell’azienda in merito alla gestione dei carichi è stato un aspetto finora poco considerato nelle diagnosi energetiche. Il suggerimento è di cominciare ad approfondirlo, al fine di consentire all’azienda stessa di cogliere nei prossimi anni le opportunità collegate al demand-response e di valutare in modo adeguato i possibili investimenti sulla generazione, lo stoccaggio e la gestione dei carichi.
La FIRE su questi temi ha condotto un’indagine tra i propri associati, i cui risultati sono disponibili su Indagine demand-response. Gli aspetti principali emersi sono: la scarsa conoscenza delle tematiche del demand-response e dei PPA, la mancanza di analisi approfondite da parte anche di chi è a conoscenza delle opportunità, la convinzione che si tratti di opzioni interessanti per tutti gli utenti, l’importanza dei soggetti aggregatori, almeno in una prima fase, e di un sistema di regole e premialità adeguato.