di Dario Di Santo
Visto che si parla di PNIEC, l’Italia ha un’urgenza: mettere in piedi una strategia credibile e solida per riqualificare il parco immobiliare e il settore dei trasporti. La ragione non sta tanto negli obiettivi legati al pacchetto europeo Fit for 55, quanto a due considerazioni di base. La prima è che questi due settori continuano ad affossare gli indicatori energetici ed ambientali nel nostro Paese, come risulta anche dal rapporto annuale Efficiency and decarbonization indicators in Italy and in the biggest European Countries, la cui edizione 2023 è stata appena pubblicata dall’Ispra. La seconda è che edifici e trasporti sono da noi responsabili del 75% dei consumi finali di energia e dunque presentano i margini maggiori di intervento. In questo articolo, pubblicato su quotidianoenergia.it l’ing. Di Santo ha evidenziato alcune considerazioni di FIRE sul settore degli edifici, basate sui commenti inviati al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (MASE) per rispondere alla consultazione sul Piano nazionale.
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Riqualificare il parco immobiliare consentirebbe di incrementare la resistenza sismica agli eventi climatici dei nostri edifici, oltre a migliorarne il comfort termico e acustico, la salubrità e la sicurezza e a ridurre la domanda di energia e le emissioni di gas serra. Insomma, tanti benefici con un intervento integrato.
Le tecnologie ci consentono oggi di intervenire in molti modi sulla domanda di energia. Anzitutto sulla parte legata agli sprechi, allo stand-by e a servizi non fondamentali. Possiamo, infatti, ridurre i consumi di energia non produttivi grazie a un cambiamento dei comportamenti e dei modelli lavorativi e all’adozione di sistemi di monitoraggio e automazione. Parliamo di un potenziale compreso fra il 15 e il 25% con interventi a tempo di ritorno breve. In secondo luogo, abbiamo a disposizione svariate tecnologie capaci di ridurre in modo consistente consumi ed emissioni (pompe di calore e altri sistemi efficienti per la climatizzazione invernale ed estiva e per la produzione di acqua calda sanitaria, macchine ICT ed elettrodomestici, sistemi di illuminazione, etc.). C’è, infine, la possibilità di intervenire sull’involucro edilizio, rendendolo più sicuro e riducendone lo scambio termico ed acustico, oltreché sfruttandolo per la generazione di energia solare. Evidentemente l’ideale è intervenire sull’edificio a tutto tondo, coniugando la dimensione energetica ed emissiva con le altre citate in precedenza, anche al fine di ridurre il carico di approvvigionamento energetico sulle reti.
Il processo tecnologico si accompagna a un’elettrificazione dei consumi, che richiede interventi per garantire che il sistema elettrico continui a funzionare al meglio visto che gli edifici sono in prevalenza connessi in bassa tensione. È in particolare opportuno investire nella gestione dei carichi al fine di evitare picchi non sostenibili (edifici e ricarica veicoli elettrici), nel potenziamento e nella digitalizzazione delle reti, nella disponibilità di sistemi di accumulo giornalieri e, soprattutto, stagionali, e in fonti rinnovabili che possano complementare il fotovoltaico (sfruttando al meglio anzitutto le risorse idroelettriche ed eoliche disponibili, a partire da quelle esistenti).
Evidentemente la riqualificazione globale risulta costosa e impegnativa, ma da affrontare una tantum e quindi conveniente in presenza di una legislazione e di un supporto adeguati. Da questo punto di vista i principi che riteniamo dovrebbero ispirare il PNIEC sono quelli dell’approccio olistico – ossia che coniughi sicurezza, comfort, salubrità, energia, etc. –, dell’energy efficiency first – ossia l’importanza di ricordarsi l’importanza di agire sulla riduzione della domanda quando si scrivono politiche che impattino il settore energetico e, per imprese, enti e famiglie la definizione di piani di azioni che coniughino l’efficientamento di consumi e produzione – e della spinta alla decarbonizzazione, intendendo per questo l’importanza che gli incentivi spingano prioritariamente gli interventi che portano un contributo maggiore in termini di riduzione delle emissioni di CO2. È inoltre importante dosare gli incentivi in modo da produrre un approccio di crescita progressiva delle installazioni, fondamentalmente per dare tempo alle filiere di mercato di strutturarsi e per riuscire a raccogliere i frutti della decarbonizzazione con un costo efficacia ottimale. All’inizio sarebbe dunque importante destinare risorse più lato offerta (rafforzamento della capacità delle manifatture e della logistica, sviluppo della riqualificazione off-site, spinta a riciclo, riutilizzo, rigenerazione e remanufacturing, incremento delle risorse umane necessarie per accompagnare la transizione, etc.).
Questi principi dovrebbero ispirare l’aggiornamento del pacchetto delle detrazioni fiscali (super/ecobonus, bonus casa, etc.) e del conto termico. Dal momento che il costo degli interventi è comunque alto, a prescindere dal livello di incentivazione che verrà deciso, è fondamentale che sia previsto un sostegno all’esborso iniziale da parte dei proprietari/occupanti degli edifici. Se l’opzione sconto in fattura o cessione del credito non sarà possibile, si suggerisce di rimodulare il Fondo nazionale per l’efficienza energetica, ad oggi sostanzialmente negletto, in modo che operi come un fondo in conto interessi per aiutare le famiglie ad accedere ai finanziamenti bancari, e di promuovere l’introduzione di mutui dedicati alle ristrutturazioni.
Non va poi dimenticato il ruolo della regolazione, in particolare su tre aspetti. Il primo è la ridefinizione dei periodi di riscaldamento (ed eventualmente di raffrescamento) sulla base dell’evoluzione climatica intervenuta negli ultimi decenni, lasciando più flessibilità al MASE o alle Regioni/Comuni per modificarle in funzione dell’andamento climatico annuale. Il secondo punto è relativo all’opportunità di stimolare un impiego degli impianti elettrici per la climatizzazione che eviti picchi di mattina o sera attraverso un’opportuna regolazione da parte di ARERA. Infine, è importante promuovere la sinergia fra i consumi elettrici, la generazione in loco e gli accumuli (anche termici), in modo da ridurre l’impegno delle reti perlomeno nei periodi soleggiati (anche se le reti e il parco nazionale di generazione dovranno potere fare fronte ai periodi di mancata produzione).
Confidiamo che il PNIEC riesca a tenere conto di queste esigenze, indicando le direzioni su cui agire per consentire uno sviluppo armonico e al contempo deciso del sistema energetico e intervenendo per promuovere al massimo una modifica degli stili di vita (trasporti, vestiario, tempo libero, etc.) e dei modelli di business (prodotti e servizi, filiere, economia circolare, etc.) improntati alla necessità di ridurre le emissioni. Ci sono ampi spazi per farlo migliorando al contempo le nostre vite, oggi troppo spesso impegnate in occupazioni che non ci arricchiscono e soddisfano pienamente, nonostante la grande ricchezza di mezzi rispetto alle generazioni che hanno visto la seconda guerra mondiale e l’inizio del boom economico.
A proposito della direttiva europea in fase di negoziazione, di cui si è tanto parlato negli scorsi mesi, ci tengo a fare una considerazione rapida in chiusura. Lamentarsi a posteriori delle scelte degli organi comunitari (Commissione, Parlamento e Consiglio) dopo l’emanazione delle relative proposte non solo è inutile, ma ci fa risultare approssimativi e non credibili. Se vogliamo incidere sulle decisioni europee occorre fare proposte durante la discussione dei provvedimenti. Invece di contrastare lo spirito della direttiva, ci converrebbe spingere su proposte ragionevoli. Ad esempio, la proposta del Consiglio di portare gli edifici in classe D come media e non come obbligo su tutti gli immobili consentirebbe di raggiungere risultati simili in termini di decarbonizzazione, ma con un impegno completamente diverso in merito agli interventi da realizzare. Fuggire di fronte agli obiettivi, per quanto complessi, è criminale vista la situazione climatica. Sedersi ai tavoli di discussione per concordare scelte razionali e positive per il Paese sarebbe invece utile e importante: meglio indirizzare le nostre energie su questa opportunità.