Giorgio Magri, energy manager – Venator
Idrogeno, nucleare, carbon capture storage. Stiamo cercando la strada giusta per la transizione ecologica. Intanto, però, concentriamoci su quello che si può fare qui e ora, ottimizzando i consumi, analizzando l’efficienza dei processi produttivi ed anticipando eventi o situazioni energeticamente ed economicamente sfavorevoli.
L’articolo del dott. Magri affronta queste tematiche ed evidenzia l’importanza che ha l’energy manager nel contesto energetico attuale.
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L’attuale crisi climatica, a lungo sottovalutata, ha portato ad una brusca accelerazione della conversione da una struttura produttiva fondata principalmente su fonti energetiche non rinnovabili, ad una basata su fonti rinnovabili. Questa è la definizione di “transizione energetica”, tanto affascinante quanto carica di aspettative, spesso condita con parole ormai abusate (“decarbonizzazione”, “green”, “sostenibilità”), che descrivono un futuro incerto e alimentano dibattiti in cui si tende a perdere di vista il loro significato e la reale applicabilità.
“Un futuro elettrico o, più in generale, a zero emissioni può essere costruito implementando fin da ora un processo di decarbonizzazione, identificando combustibili più puliti ed efficienti e cercando di ridurre le emissioni dei gas serra”: sono concetti generici ed approssimativi, creati da un marketing a volte deliberatamente ignorante del quadro generale e delle cause che ci hanno portato a questa crisi.
Quasi il 50% delle emissioni annuali mondiali di CO2 è generato dal settore della produzione di energia (termica ed elettrica) e più della metà delle emissioni di questo settore è imputabile all’area asiatica (Cina, per lo più), principalmente per l’utilizzo massivo del carbone (che emette quasi il doppio della CO2 a parità di kWh generato rispetto al gas naturale). In generale l’area asiatica è responsabile di più del 50% della CO2 emessa globalmente.
Se parte della responsabilità è attribuibile alle politiche di sviluppo della Cina (che comunque si sta già muovendo verso un maggior utilizzo del gas naturale), l’altra parte è imputabile al resto del Mondo, che ha accettato e – in alcuni casi – ha favorito lo sviluppo di questo tipo di economia, senza riflettere sulle conseguenze nel lungo periodo.
Una possibile soluzione a questa crisi è il potenziamento delle energie rinnovabili, che però sono per natura intermittenti e quindi la struttura produttiva di domani non potrà contare solo sulle loro potenzialità, non programmabili e con sistemi di storage non ancora adeguati.
Questi limiti possono essere in parte superati grazie all’idrogeno che, oltre a valorizzare il contributo delle rinnovabili, può essere impiegato per la decarbonizzazione dei settori più rilevanti (industria e trasporti). Nuova frontiera della transizione energetica, viene magnificato come il metano negli anni ‘80, ignorando che l’attuale processo produttivo sposta il problema da valle a monte.
Oggi l’idrogeno viene prodotto quasi esclusivamente da combustibili fossili, per un mercato in gran parte destinato al settore chimico e della raffinazione petrolifera: solo una piccola percentuale viene prodotta mediante elettrolisi che però consuma energia elettrica, a sua volta prodotta in buona parte da fonti non rinnovabili (idrogeno grigio, blu, marrone), o da fonti rinnovabili ma con costi ancora elevati (idrogeno verde), o da fonte nucleare (idrogeno viola).
Il nucleare sta tornando d’attualità come possibile soluzione per accelerare la transizione energetica: si parla di reattori di “quarta generazione”, più sicuri ed efficienti (sulla carta), ma resta il problema della gestione e stoccaggio delle scorie, che richiedono strutture geologiche sotterranee (non infinite) con caratteristiche non sempre idonee al confinamento.
Considerazioni analoghe valgono per la tecnologia del Carbon Capture Storage che, oltre al problema degli spazi di confinamento idonei, richiede un costante monitoraggio dello stoccaggio con un ulteriore impiego di energia. “Nascondere la polvere sotto il tappeto” non è una soluzione.
Dovremmo piuttosto cambiare atteggiamento e smettere di pensare al futuro come a qualcosa di lontano, di cui si (pre)occuperanno le generazioni future, che rischiano di avere in eredità dei problemi più gravi da risolvere.
Il futuro si inizia a costruire oggi con azioni concrete (ad es. con un efficientamento degli impianti convenzionali), favorendo lo sviluppo di un’economia di larga scala applicata al settore del rinnovabile, che permetterebbe tra l’altro di ridurre gli attuali costi di produzione dell’idrogeno verde, rendendo maggiormente interessanti i costi del blending con il gas naturale. Questo mix ridurrebbe in piccola parte le emissioni climalteranti (alle attuali condizioni di miscelazione) ma costituirebbe un forte stimolo alla crescita del suo mercato.
Detto questo, la concretizzazione del ruolo dell’idrogeno come vettore energetico del futuro deve passare attraverso la risoluzione di alcune criticità: le stringenti misure di sicurezza imposte dalle sue caratteristiche chimico-fisiche, un’infrastruttura per il trasporto e la distribuzione ancora in fase embrionale e, limitatamente ad alcuni “colori”, la dipendenza dai combustibili fossili che equivale al mantenimento di un sistema responsabile dell’attuale crisi climatica.
In attesa che maturino le tecnologie dei sistemi di storage ed altre ancor più interessanti (ad es. il Carbon Capture Utilization), l’energy manager può dare il proprio contributo alla transizione tornando alle origini del proprio ruolo: un “Tecnico responsabile per la conservazione e l’uso razionale dell’energia”, concentrato su quello che si può fare qui e ora, ottimizzando i consumi, analizzando l’efficienza dei processi produttivi ed anticipando eventi o situazioni energeticamente ed economicamente sfavorevoli. Tuttavia, per essere davvero efficaci, queste azioni necessitano di un supporto concreto fornito da investimenti e incentivi.
La vera sfida di ogni giorno per l’energy manager sta nel mettere a frutto le sue competenze trasversali, promuovendo una maggior sensibilità energetica in tutti i reparti, sviluppando un teamwork interfunzionale all’interno dell’organizzazione, unitamente ad una maggiore condivisione di obiettivi e risultati per valorizzare un lavoro cruciale oggi più che mai.
Molto ben scritto e di stringente attualità. Complimenti!