di Valentina Bini
Il momento storico che stiamo vivendo sta dando una spinta importante a molti settori legati all’ambiente ed alla sua salvaguardia, alla sostenibilità ed alla riduzione dei consumi energetici. È una spinta che trova le sue radici nell’aumento dei danni causati da fenomeni climatici estremi cui abbiamo assistito negli ultimi anni. Anche l’attuale pandemia appare essere legata alla pressione antropica sulle risorse naturali e agli attuali stili di vita e business. Un ruolo importante in questo momento e nel prossimo futuro lo svolgerà anche l’economia circolare, che potrebbe rivelarsi una strada conveniente, oltreché necessaria, per la futura economia italiana.
Sulla base di uno studio condotto dalla Ellen McArtur Foundation, la dott.ssa Bini approfondisce l’argomento nella newsletter FIRE del 4 maggio.
A tale proposito, qualche mese fa la Ellen McArtur Foundation ha pubblicato lo studio “Completing the picture. How the circular economy tackles climate change”. Dal documento emerge l’importanza di fondere l’efficienza energetica e la produzione di energia da fonti rinnovabili con i principi e le strategie e metodologie messe in atto in ottica di economia circolare, nella produzione di beni e servizi, per arrivare a raggiungere emissioni nette zero entro il 2050 e quindi limitare il riscaldamento globale a 1,5°C. L’economia circolare completa quindi il quadro di ciò che è necessario per affrontare la crisi climatica: offre un approccio che non guarda solo all’uso e alla produzione di energia, ma trasforma anche il modo in cui i beni vengono progettati e utilizzati. Con riferimento alla definizione data dalla Ellen MacArthur Foundation “è un’economia progettata per auto-rigenerarsi, in cui i materiali di origine biologica sono destinati ad essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici devono essere progettati per essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera”.
Essa richiede un ripensamento complessivo e radicale rispetto al modello produttivo classico, che implica la revisione di tutte le fasi della produzione e un’attenzione all’intera filiera coinvolta nel ciclo produttivo. Lo studio, basandosi sui dati sulle emissioni globali IPCC 2010, evidenzia come due settori, industria e agricoltura, selvicoltura e usi del suolo, contribuiscano ciascuno per circa un quarto delle emissioni globali di gas a effetto serra (per confronto, in Italia si attestano nel 2018 a circa il 15% delle emissioni GHG, in ragione del mix emissivo molto diverso). Visto che di industria parliamo con una certa frequenza, ci dedichiamo qui al settore AFOLU (Agriculture, Forestry and Other Land Use), responsabile del 24% delle emissioni mondiali di gas a effetto serra (7.1% nel nostro Paese nel 2018). Prendendo in considerazione i dati dello studio, è previsto un aumento di oltre un terzo delle emissioni totali provenienti dal settore AFOLU nel 2050: da 8,4 miliardi di tonnellate di CO2 a 11,4 miliardi di tonnellate di CO2. Oltre il 60% di questo totale riguarda la produzione alimentare derivante da numerose fonti differenti, come ad esempio gli allevamenti bovini intensivi, la coltivazione del riso, un eccessivo uso di fertilizzanti, le emissioni associate alla produzione di prodotti chimici per l’agricoltura come l’ammoniaca. Mettere in atto strategie dettate dai principi dell’economia circolare potrebbe ridurre le emissioni di 5,6 miliardi di tonnellate di CO2 e quasi dimezzare le emissioni da questo settore entro il 2050. Nel documento vengono analizzate e modellizzate proposte basate sui principi dell’economia circolare che potrebbero portare ad una diminuzione significativa delle emissioni, agendo sulla riduzione a monte dei rifiuti, sul riuso dei materiali e sull’agricoltura rigenerativa che rappresenta una delle più grandi opportunità per trasformare il settore produttivo alimentare da uno dei più impattanti ad uno dei più risolutivi. Tuttavia, oltre al lato produttivo, un’alta percentuale delle emissioni del sistema AFOLU sono associate al consumo di energia lungo la catena logistica alimentare come il trasporto e la refrigerazione.
FIRE sta approfondendo proprio questo aspetto lavorando insieme agli altri partner nel progetto europeo ICCEE, il cui obiettivo è di incrementare l’efficienza energetica nelle PMI che operano nella catena del freddo del settore alimentare, grazie a un approccio olistico che include l’analisi LCA e LCC per ottimizzare l’intera catena. Nei prossimi mesi verrà sviluppato uno strumento che consentirà di mappare il consumo di energia nella catena del freddo e di eseguire un’analisi dei flussi energetici con un focus sugli impatti economici e ambientali. Si potranno identificare i processi più energivori che portano a dei costi maggiori fino a valutarne in termini economici e ambientali i rispettivi interventi di efficientamento. A corredo verrà implementato un programma formativo on line, in partenza a settembre e studiato per un pubblico non necessariamente tecnico, che consentirà di aumentare la consapevolezza e la conoscenza sulle questioni energetiche e ambientali che portano a cambiamenti nelle abitudini e nel comportamento. Il valore aggiunto fornito dal progetto ICCEE sta proprio nell’approccio olistico che si pone prendendo in considerazione anche benefici non energetici e aspetti comportamentali come parti integranti delle misure di efficienza energetica individuate.