Dalla crisi dell’eolico può nascere una possibile occasione per l’Italia

Giuseppe Tomassetti FIRE

Le pagine economiche dei quotidiani riportano gli aspetti di  una crisi legata alla crescita troppo veloce delle imprese che producono impianti eolici. La domanda è sempre più forte, le imprese sono spinte dalla concorrenza a offrire aeromotori sempre più grandi, con minori costi per kWh; questa situazione sta creando almeno tre motivi di crisi per le imprese produttrici.

Vediamoli insieme in questo articolo.

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Le pagine economiche dei quotidiani riportano gli aspetti di  una crisi legata alla crescita troppo veloce delle imprese che producono impianti eolici. La domanda è sempre più forte, le imprese sono spinte dalla concorrenza a offrire aeromotori sempre più grandi, con minori costi per kWh; questa situazione sta creando almeno tre motivi di crisi per le imprese produttrici.

Da una parte i modelli esistenti diventano rapidamente obsoleti prima che i relativi impianti di costruzione siano completamente ammortati, da un’altra parte le dimensioni gigantesche degli aeromotori sopra i 14-15 MW non sono più in accordo con gli ingombri e le localizzazioni degli impianti esistenti, infine la installazione e le connessioni alle reti dei generatori, specie off-shore, sono diventati sempre più complessi da diventare un collo di bottiglia di tutta la filiera.

Non è certo la prima volta che la crescita molto rapida di una tecnologia produca una fortissima crisi delle strutture che l’hanno fatta crescere, basti ricordare all’espansione della siderurgia europea nel dopoguerra. I vecchi altoforni erano localizzati vicino alle storiche miniere di ferro ed ai pozzi del carbone ed erano circondati dai residui delle produzioni, ne soffriva tutta la logistica dei collegamenti con un mercato sempre più diversificato e complesso. La risposta fu la nascita dei centri siderurgici integrati, localizzati in porti dedicati dove minerali e carboni potevano arrivare da tutto il mondo così come i prodotti potevano partire per tutto il mondo; integrati, per cui la scoria andava al cementificio, i gas d’alto forno e della cocheria andavano alla centrale elettrica, parte dell’acciaio prodotto era trasformato in tubazioni o nastri. Il centro integrato liberava una nazione dai vincoli delle disponibilità locali di giacimenti e permetteva ad una Italia, che riusciva ad impostare e gestire una politica industriale, di fornire acciaio da Taranto alle sue manifatture meccaniche.

Oggi sappiamo che il Mediterraneo, attorno alle grandi isole è fortemente vocato per l’eolico in mare aperto, con impianti galleggiati, tecnologia alle prime applicazioni che ci ha visto finora totalmente assenti salvo che per la “prenotazione”, senza costo e senza impegni, di vaste aree di mare. In compenso l’Italia con la cantieristica e con le tubazioni ed i cavi posati su fondali molto più difficili di quelli del Mar del Nord ha acquisito competenze rilevanti, considerando che nell’espansione dell’eolico con grandi impianti gli aspetti di filiera sono importanti quanto gli aspetti tecnologici specifici.

La crisi delle imprese che hanno iniziato lo sviluppo dell’eolico, nel momento del concludersi di una fase dello sviluppo dell’eolico, può apparire come una opportunità che si apre da cogliere in tempo e in modo adeguato. In particolare, costruendo collegamenti con gli altri Paesi del mediterraneo sulla filiera, per la gestione del problema degli aiuti di stato.

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