Attaccarsi al Recovery Fund

di Giuseppe Tomassetti

Come si prepara l’Italia a gestire il Recovery Fund? L’articolo di apertura dell’ultima newsletter FIRE è a firma del vice presidente Giuseppe Tomassetti, che descrive e commenta, con la sua tipica oculatezza, un Paese con un fortissimo debito pubblico ma anche con un fortissimo risparmio privato – circa 1700 miliardi solo nei conti correnti, più o meno quanto il PIL.

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Si dà per scontato che il Recovery Fund dell’Unione Europea, 1800 miliardi di euro di cui 200 per l’Italia, con la sua rilevantissima novità di approccio unitario al debito, riesca a completare il percorso autorizzativo superando le difficoltà dei paesi dell’est legate ai nazionalismi da ex sudditi dell’URSS.

Questo articolo contiene riflessioni su come ci prepariamo a gestire il programma noi Italiani, in un paese con un fortissimo debito pubblico, ma anche con un fortissimo risparmio privato – circa 1700 miliardi solo nei conti correnti, più o meno quanto il PIL – dopo questi mesi di pandemia che hanno aggravato la distanza fra le categorie protette e quelli esposte alle chiusure. Una condizione che in passato si sarebbe descritta come convento povero ma frati ricchi e che oggi potremmo caratterizzare come società signorile di massa, seguendo la proposta di Luca Ricolfi. Le disposizioni del governo sono prevalentemente impostate come “ristori”, sia direttamente alle varie categorie danneggiate – dalla cassa integrazione per i dipendenti a contributi a fondo perduto per professionisti, artigiani e piccole imprese – sia indirettamente invitando i cittadini a investire a bassissimo costo o gratis nel miglioramento degli edifici esistenti, dando così lavoro alle PMI. In questa distribuzione a pioggia, necessaria per la pace sociale durante la pandemia, subentra la tendenza a considerare il Recovery Fund un tesoretto con cui, così come dopo il ritrovamento di una tomba etrusca con vasi d’oro, si possono finalmente comprare articoli guardati per anni nelle vetrine dei negozi del centro.

Il tema di come l’Italia prepara i piani per il Recovery comunitario è affrontato da Federico Fubini sul Corriere del 19novembre: preoccupa il fatto che i piani siano preparati con grande riservatezza senza la partecipazione degli operatori che poi dovranno attuarli. La partecipazione ha il rischio dell’assalto alla diligenza da parte dei vari soggetti che tirano fuori dai cassetti vecchie proposte, ma è necessaria perché il piano consideri non solo l’assegnazione delle risorse ma anche i problemi della attuazione, ricordando le tante risorse che ogni anno restituiamo alla UE per mancato utilizzo e/o consuntivazione. “La Commissione” scrive ad esempio Fubini “ha pubblicato un modello di piano: ogni singola proposta va corredata di riforme che la rendano credibile, di interventi su fattori diversi che la rendano effettiva, condizioni di contorno nelle amministrazioni, nelle categorie e nelle parti sociali. Il modello di piano per il 5G e la fibra (27 pagine) per esempio prevede misure che migliorino i percorsi lenti e costosi per i permessi e le controversie: significa coinvolgere enti locali, tribunali, professionisti.”

Il ministro Vincenzo Amendola ha risposto che la Commissione ha indicato priorità coerenti con gli indirizzi ricevuti: green, digitale e coesione sociale; che sarà rafforzata l’industria 4.0; che il programma sarà presentato ai primi dell’anno e ci sarà tempo per discuterlo in Parlamento. Riguardo poi all’esecuzione, questa volta non ci devono essere problemi: il commissario Gentiloni ha chiesto una cabina di regia all’interno della presidenza del consiglio, e Amendola afferma al Corriere del 22 novembre “stiamo lavorando per presentare in Parlamento le norme che definiscano la guida politica e tecnica del piano, una soluzione mai sperimentata prima, necessaria per impiegare le risorse in pochi anni senza gli intralci burocratici del passato.”

Non è la prima volta che si ascoltano impegni di questo tipo, non supportati da esperienza e carisma dimostratisi all’altezza della sfida; ricordando una riunione di tanti anni fa, se l’Italia è come un vagone con ruote quadrate che attacchiamo ad un treno che lo tirerà finché non si regolarizzeranno, è ben prevedibile che l’esito sarà traumatico. L’Italia ha chiesto per prima un fondo di recupero comunitario, alla fine accettato perché tutti hanno concordato sulla necessità di reagire alle crisi (pande- mia, Brexit, USA isolazionisti) con un salto di qualità; se dimostreremo di non essere capaci di partecipare, cambiando il nostro modo di operare, sarà molto grave. Basti pensare alle cordate che si stanno formando per costruire filiere europee per produrre in modo autonomo batterie per la trazione elettrica (superando almeno in parte i monopoli costituitesi sui materiali), oppure per arrivare a gradi parchi eolici galleggianti, anche nel Mediterraneo, con reti sovrannazionali fuori delle acque territoriali (superando così i vincoli locali che impedirebbero di raggiungere le produzioni di elettricità rinnovabile congruenti con l’impiego dell’idrogeno come vettore).

 

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